Il gioco delle marche e la myse-en-abyme del consumismo

di Ugo Volli

1.

Uno degli obiettivi principali della ininterrotta conversazione con se stessa che caratterizza l'arte del Novecento, è il lavorio di sperimentazione sui modi dell'articolazione del senso nelle immagini. Noi oggi viviamo in un mondo straordinariamente ricco di immagini, soprattutto generate da tecniche meccaniche (o piuttosto elettroniche), e tendiamo a naturalizzare il loro ruolo e la loro forma, cioè a considerarle come se fossero tutte fondamentalmente esatte e dunque indiscutibili; ma questa è per l'appunto una peculiarità della nostra società, non un fatto universale o necessario; e così la loro forma fotografica. Di fatto noi tendiamo a non renderci conto che le modalità delle immagini, delle forme, delle decorazioni che ci circondano, sono determinate da tecniche e da grammatiche che sono a loro volta storiche, frutto di invenzioni tecnologiche ma ancor più da creazioni artistiche avvenute in un certo momento della storia, per caso o per ragioni contingenti. In mezzo a questa inaudita inflazione delle immagini, l'arte contemporanea ha oggi il compito importante e difficilissimo di contrapporsi a questa naturalizzazione, mostrando alternative e inventando codici, che magari saranno le regole condivise del futuro.

L'invenzione della prospettiva, l'impressionismo, il cubismo sono stati nel passato solo alcune dei grandissimi precedenti di questo lavoro di eversione della banalità della rappresentazione, che è stato condotto negli ultimi decenni e ancora è sviluppato da innumerevoli artisti per variazioni più o meno grandi – non solo alla ricerca di uno stile personale, ma anche e soprattutto dell'esplorazione delle possibilità ancora impensate del visivo. Una parte di questi esperimenti è esclusivamente concettuale, un'altra riguarda la materia dello sguardo e le sue strutture formali ("l'astrazione" nelle sue varie declinazioni), altre ancora lavorano sulla capacità del visivo di alludere al mondo, di farsi nonostante tutto figurazione, rappresentazione, mimesi. Il punto è naturalmente quel "nonostante tutto", che copre deformazioni, passioni, assenze e soprattutto ironie.

In questo quadro il lavoro di Giordano Radaelli ha una sua interessante specificità linguistica, che consiste nell'uso di una sorta di doppia articolazione figurativa. Com'è noto, le lingue verbali sono caratterizzate da una struttura a doppia articolazione. Vi sono nel linguaggio frasi, discorsi, testi complessi; ma tutti questi infiniti usi della lingua si possono analizzare negli elementi minimi dal montaggio dei quali essi derivano. In primo luogo vi sono quelle unità minime che veicolano un significato autonomo. Sono le parole (tecnicamente, i lessemi e i morfemi) che sono numerose ma in numero limitato, tant'è vero che disponiamo di vocabolari. Queste unità di senso (di secondo grado) sono composte di elementi minori di primo grado, in numero molto più limitato (in italiano un paio di dozzine, corrispondenti alle lettere dell'alfabeto o più tecnicamente ai fonemi) che sono discriminanti, cioè producono le differenze fra le parole e dunque permettono ad esse di avere senso. Può accadere che un'unità di livello inferiore (per esempio un fonema /a/ o /e/ possa corrispondere da sola a un'unità del livello superiore (così la parola "a", preposizione, composta dal solo fonema /a/; oppure la "e" congiunzione; e magari questa parola può costruire anche una frase autonoma (certe lunghe "ehhh" degli attori, che indicano incertezza...). Ma in linea di principio i livelli sono ben distinti e non possono essere confusi.

La teoria della comunicazione si è a lungo interrogata sulla possibilità di estendere questo modello di funzionamento, che è un po' complicato da spiegare, ma straordinariamente semplice e potente nel suo funzionamento effettivo, ad altre forme di comunicazione che non fossero il linguaggio verbale. Spesso la questione si è posta così: la pittura, il cinema, la musica sono o no "un linguaggio"? Nonostante tentativi come quelli di Pasolini, che voleva identificare tre livelli di articolazione nel cinema, è abbastanza chiaro che non è così. Le immagini, in particolare, sono "dense", si può spezzettarle fin che si vuole ma fin che vi è in esse un senso percepibile si ritrovano altre immagini (in una scena vi è una figura, questa ha un braccio, in cui si identifica una mano, un dito, un'unghia, il riflesso che cambia il suo incarnato...) e sotto non vi è alcun alfabeto. Non si possono trovare unità di primo livello, "grafemi" delle immagini. Chi tentasse qualcosa del genere, vedrebbe il suo elenco allargarsi senza fine, fra linee, colori, forme, ombre...

In generale le cose stanno così, ma nulla impedisce a un artista di provare a modificarle, almeno per quanto riguarda le immagini da lui prodotte, questo fatto, introducendo regole nuove. E' il caso di Giordano Radaelli, che ha deciso di proporre dipinti le cui unità di senso (le figure) sono composte da altre unità, che magari il loro senso potrebbero averlo (dato che sono marchi, come vedremo in seguito), ma che in questo contesto sono neutralizzate, servono per così dire da "pixel" o da "retino" per le figure di livello superiore. Si potrebbe obiettare che questo tipo di montaggio riguarda in generale tutte le immagini prodotte con la tecnica del collage, com'è il caso di Radaelli; ma è chiaro a prima vista che nella sua opera vi è una fondamentale differenza, data dall'aspetto modulare e ripetitivo degli elementi di primo livello da lui utilizzati: essi non sono sovrapposti per fondere il loro significato come nei classici collages, ma usati come tasselli di colore, pur rispettando la loro integrità. Il fatto che gli elementi di base siano marchi o superfici di packaging, cioè oggetti destinati a comunicare in un contesto percettivamente affollato come i punti di vendita o le affissioni, dunque progettati per ottenere una spiccata visibilità, fa sì che anche le opere che ne sono composte ereditino questa salienza percettiva e risultino particolarmente vibranti e gradevoli allo sguardo.


Norda 2, 2011
collage e smalto su tavola
100 x 100 cm

(packaging tappi Norda - 1032 tappi)




2.

Ma questa stessa presenza di elementi della comunicazione commerciale al primo livello costruttivo delle opere di Radaelli ha un significato molto più generale ed è trattato in maniera tale da sottolinearlo. Accade infatti che gli elementi del primo livello (i marchi o pack) usati da Radaelli abbiano a loro volta una interessante costituzione figurativa. Non sono pure forme senza senso, ma sono a loro volta segni, forniti di un significante figurativo per l'appunto di solito piuttosto evidente e di un significato aziendale e spesso merceologico: il logo corsivo della Coca Cola col suo colore rosso sta per la bevanda più popolare del mondo; la stella di Mercedes rimanda alle automobili di prestigio, il "baffo" della Nike alle sneaker e al mondo sportivo. Questi elementi sono sì neutralizzati nella formazione dell'immagine superiore fino a sembrare puri tasselli di colore, perché l'opera complessiva è visibile grazie al loro montaggio ma senza far riferimento al loro carattere di segno. Ma in queste opere Radaelli istituisce sistematicamente un rapporto fra il significato figurativo di secondo livello, quello dell'immagine macroscopica, con il significato degli elementi di primo livello. Così sul montaggio degli involucri delle caramelle Golia si disegna una grande figura di caramella, la riproduzione della celebre immagine dello sbarco sulla luna è realizzato sulle etichette di un'acqua minerale che si chiama appunto "Luna" e analogamente i cioccolatini Fiat disegnano un'automobile, le confezioni di profilattici lasciano apparire una coppia avvinta in una danza sensuale, la Coca e la pepsi si uniscono una volta per disegnare la bandiera americana.

I processi semiotici esatti di questa combinazioni variano da giochi onomastici e sinonimici ai riferimenti visivi di un senso implicito, fino ad allusioni culturali più vaste e complesse (il tango per la passione e il sesso...). Ma sempre vi è il gioco di questo doppio riferimento molare (l'immagine grande) e molecolare (i marchi o pack di secondo livello). In termini cinematografici o letterari o teatrali potremmo dire che siamo di fronte a una myse en abyme, come quando nelle Mille e una notte i racconti si inscatolano e si riflettono uno nell'altro o quando Shakespeare mette in scena nell'Amleto la recita di una compagnia teatrale che racconta una storia sostanzialmente simile a quella della tragedia che la comprende, o ancora quando sulla scena del Don Giovanni di Mozart compare una seconda orchestra che dialoga con quella della buca.

Ma dal punto di vista semiotico questa struttura in cui un segno intero entra nel piano dell'espressione di un altro segno si chiama "connotazione": è un caso abbastanza comune, come quando la bandiera che rappresenta la nazione diventa il segno del nazionalismo o un simbolo religioso come il crocefisso che raffigura l'uccisione di Gesù passa a raffigurare la religione tutta che da quell'esecuzione è nata, il cristianesimo. Roland Barthes, che ha analizzato a fondo questa formazione di senso, ha spiegato che la connotazione è in genere il luogo dell'ideologia, il modo in cui si comunicano indirettamente valori ad alto effetto emotivo. E in effetti la pubblicità è piena di connotazioni: noi vediamo una mamma che accudisce il suo bambino con un certo prodotto e subito questo, nelle intenzioni dei pubblicitari, si riempie di tutto il calore e l'amore che la nostra cultura attribuisce all'"amore di mamma".

Ma dove c'è l'ideologia può sempre albergare anche l'ironia: basta accentuare un po' i toni, allargare un po' le maglie del senso, calcare un po' il simbolismo ed ecco che il gioco si rovescia, il secondo strato di senso (quello più generale e più "elevato") rimpalla sul primo e si vede che in fondo il grande mito americano può essere paragonato alle bevande gasate, la seduzione del ballo ai profilattici, la leggerezza dei cosmonauti saltellanti sul nostro satellite somiglia un po' a quella dell'acqua minerale... Giordano Redaelli non spinge troppo su questo pedale ironico, non gioca contro le marche, che conosce bene e ama, non foss'altro che per la sua esperienza di creativo pubblicitario. Ma essa resta sospesa, come l'eco di un sorriso che si sovrappone alla grande immagine archetipica.


Tango Control 3, 2011
collage e smalto su tela
80 x 80 cm

(packaging Control - 169 bustine)




3.

Dato che poi l'operazione di connotazione/ironia non è affatto casuale ma sistematica, ripetendosi in forma diverse come assunto fondamentale di quest'opera, essa assume a sua volta un senso generale. L'ironia gentile di Giordano Radaelli, il suo sorriso un po' complice un po' dissacrante non riguarda solo questa o quella immagine, marchio o packaging, ma tutto il sistema dell'immaginario del nostro tempo. E come se l'artista dicesse: siamo circondati da grandi immagini, da grandi blocchi di senso e di passione: l'automobile e la tecnologia dell'impresa lunare, la passione e la sensualità dominante, i piaceri della gola e l'impegno della politica; ma tutto questo è un po' una superficie significante, un fondale teatrale, sotto il quale si muove fitto e ben organizzato il sistema economico e la sua base attuale, la grande macchina dei consumi, delle marche, delle imprese.

Anche qui, non bisogna immaginare un discorso violento, una denuncia sanguigna: sia perché questo non è lo stile di Radaelli, sia perché queste cose sono abbastanza chiare a tutti e non c'è bisogno di strillare per indicare che noi tutti viviamo da tre o quattro generazioni in un paesaggio mentale fortemente determinato dal sistema delle marche. C'è una composizione della nostra vita che la costruisce sui piccoli atti di consumo, sull'uso di merci e di oggetti di massa: questo lo sappiamo, ma nelle opere di questa mostra, se siamo sufficientemente perspicaci, possiamo anche vederlo, e sorriderci sopra, come è sempre bene sorridere sulle ripetizioni e le strettoie dell'esistenza.

Ma è soprattutto interessante indicare in questa sede tale sfondo per così dire di analisi sociale del lavoro di Giordano Radaelli, perché anch'esso, come la sua scelta formale, si situa sulle linee di una grande tendenza dell'arte contemporanea e non solo, la pretesa di porsi come critica, non necessariamente ideologica ma penetrante, della vita collettiva. Più che ai settori più fortemente politicizzati dell'arte contemporanea, ai video che sembrano spesso reportages giornalistici e alle manifestazioni più esplicitamente schierate, il lavoro di Radaelli fa pensare alla pop art, anche nella sua versione più ironica e complice, quella warholiana: il compito dell'arte secondo questa linea è si mostrare procedimenti e interessi, di agire da specchio insieme deformante e magnificante delle tendenze, di stare dentro e fuori dalla comunicazione, di giocare elegantemente con le passioni di massa e alle tecnologie che le soddisfano provando a destabilizzarle con un tocco di gioco, mostrandole sotto un'angolatura appena diversa. In questa felice ambiguità l'opera di Giordano Radaelle eccelle, anche per l'evidente piacere che ne promana, per il senso autentico di gioco e di euforia che le sue tele producono.


Ugo Volli

professore ordinario di Semiotica del testo alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino